Mercoledì mattina, 23 Dicembre, la radio de “Il Sole24Ore” ha fatto filtrare la notizia che l’Editore Rubattino sarebbe disponibile a pubblicare un “calendario De Gasperi” visto il successo del calendario dedicato alla figura di Benito Mussolini.
Fa riflettere il fatto che a distanza di 75 anni, dopo la caduta del fascismo e la fine della monarchia, dopo quasi mezzo secolo di governo democristiano con il conseguente tramonto della Prima Repubblica e dopo tanti eventi che hanno visto l’Italia posizionarsi tra le nazioni più importanti dell’Occidente, ci siano ancora molti estimatori di due personalità così diverse l’una dall’altra come quelle di Mussolini e di De Gasperi.
È compito degli storici indagare e spiegare la consistenza, la forza politica di figure eminenti che hanno lasciato il segno con le loro decisioni. A noi semplici cronisti di un’epoca postuma all’azione di quelle figure resta il compito di capire perché siano tuttora così popolari.
De Gasperi aveva una concezione della politica basata su valori democratici e liberali, l’opposto di quelli su cui si fondava il fascismo mussoliniano che, seppure meno opprimente rispetto al totalitarismo comunista, resta pur sempre nell’alveo dei sistemi tirannici; tant’è che De Gasperi fu perseguitato dal Regime fascista.
Eppure oggi, inutile girarci attorno, non pochi italiani hanno nostalgia di Mussolini e di De Gasperi che vengono ritenuti gli ultimi veri statisti dopo i quali, sulla scena politica italiana, sarebbero apparsi pochi buoni politici e una indistinta pletora di politicanti.
Azzardiamo un’ipotesi: un calendario dedicato a Mussolini o a De Gasperi (forse se ne potrebbero realizzare un paio d’altri riservati a Togliatti e a Nenni) per sottolineare l’abissale distanza – oseremmo dire il rifiuto – che gran parte dell’opinione pubblica nutre nei confronti di un ceto politico impreparato che non sta affatto facendo il bene del Paese.
Fuori dal politicamente corretto ci sembra di poter tranquillamente riconoscere che, pur agli antipodi l’uno dall’altro, sia Mussolini, sia De Gasperi, erano accomunati dallo stesso desiderio di tutelare gli interessi degli italiani.
Il Primo, non sorretto da una visione cristiana della vita, ma prigioniero del cinismo che attanaglia tanti capi di stato, s’è lasciato andare ad una guerra che ha causato un milione di morti e che è stato il vero vulnus che ha posto fine, oltre che alla sua parabola politica, alla sua stessa vicenda esistenziale. Fino a quel momento aveva avuto il consenso di milioni di italiani.
Se si fosse fidato della parola del cardinale Ildefonso Schuster, l’epilogo di Mussolini sarebbe stato sicuramente diverso, come hanno sottolineato diversi storici. Ma la storia non è fatta né di “se”, né di “ma” e il Dittatore è finito come tutti sappiamo.
Quanto a De Gasperi basta una semplice citazione per capire lo spessore dell’uomo e dello statista (come abbiamo scritto più volte nelle testate del nostro Alpi Media Group) quando, il 10 Agosto 1946 a Parigi s’era presentato alla Conferenza di pace per perorare la causa dell’Italia.
«Prendo la parola in questo consesso mondiale e sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me», aveva esordito lo Statista trentino. «È soprattutto la mia qualifica di ex nemico, che mi fa ritenere un imputato, l’essere arrivato qui dopo che i più influenti di voi hanno già formulato le loro conclusioni in una lunga e faticosa elaborazione. (…)
Ho il dovere innanzi alla coscienza del mio Paese e per difendere la vitalità del mio popolo di parlare come italiano, ma sento la responsabilità e il diritto di parlare anche come democratico antifascista (…).
Voi avete dovuto aggiudicare l’81 per cento del territorio della Venezia Giulia agli jugoslavi (e anche essi se ne lagnano come di un tradimento degli alleati e cercano di accaparrare il resto a mezzo di formule giuridiche costituzionali del nuovo Stato); avete dovuto far torto all’Italia rinnegando la linea etnica; avete abbandonato alla Jugoslavia la zona di Parenzo e Pola senza ricordare la Carta atlantica che riconosce alle popolazioni il diritto di consultazione sui cambiamenti territoriali; anzi, ne aggravate le condizioni stabilendo che gli italiani della Venezia Giulia passati sotto la sovranità slava, che opteranno per conservare la loro cittadinanza, potranno entro un anno essere espulsi e dovranno trasferirsi in Italia abbandonando la loro terra, la loro casa, i loro averi.
Inoltre i loro beni potranno venire confiscati e liquidati come appartenenti a cittadini italiani all’estero, mentre gli italiani che accetteranno la cittadinanza slava saranno esenti da tale confisca.
L’effetto di codesta vostra soluzione è che, fatta astrazione del territorio libero, 180 mila italiani rimangono in Jugoslavia e 10 mila slavi in Italia (secondo il censimento del 1921); e che il totale degli italiani esclusi dall’Italia, calcolando quelli di Trieste, è di 446 mila; né per queste minoranze avete minimamente provveduto, mentre noi in Alto Adige stiamo preparando una generosa revisione delle opzioni, per il quale è stato già raggiunto un accordo su un’ampia autonomia regionale da sottoporsi alla Costituente».
Parole alte e gravi, quelle di De Gasperi, pronunciate con quella solennità che possono esprimere solo uomini di Stato dotati di una cultura profonda e di una fede radicata nel bene.
Ecco, intuiamo che molti italiani cresciuti nella democrazia abbiano forte nostalgia del Grande Trentino e di quella classe dirigente che, con lui, ha ricostruito l’Italia.
Il virus di Wuhan ha impietosamente messo in luce come un ceto politico, in larga parte autoreferenziale, sia inadeguato a risolvere i gravi problemi del XXI secolo. Dobbiamo tornare alla meritocrazia in ogni campo e settore, pubblico e privato. Ne riparleremo.